Descrizione
Nota introduttiva “Azzardi d’Autore. Monografia artistica di Rosetta Trefoloni”
Mi è sempre piaciuto “colorare” non disegnare. Non le linee, gli angoli, i cerchi, ma riempire gli spazi di colore e, soprattutto, scegliere le varie tonalità e giocare con le nuances. Ricordo il mio primo giornaletto da dipingere con le matite di legno “Giotto” e risento persino l’effetto di quel colore bordeaux.
Mettevo le matite in ordine dal colore più chiaro al più scuro e desideravo aggiungerne altre per arricchire le sfumature.
I colori hanno accompagnato la mia vita. I colori delle stoffe, degli oggetti, dei fiori, della natura in generale. Ho però sempre privilegiato i toni freddi, il viola e il verde soprattutto. Atmosfere.
Ma è stato soltanto quando ho lasciato il lavoro di insegnante e i figli già pronti a seguire le loro strade, che ho potuto dedicarmi totalmente a quella che ho poi scoperto essere la mia autentica passione.
Mentre lo scrivere è per me una disposizione naturale, dipingere è una passione viscerale che mi prende e mi trascina.
Così, non avendo frequentato nessuna scuola al riguardo e neanche visto pittori all’opera e nemmeno letto libri specifici o manuali sull’argomento, ho iniziato a “buttare giù” colori e ho cercato di dare loro un senso, riproducendo quadri di autori che più mi ispiravano. Chi meglio di Monèt e altri impressionisti o macchiaioli che sanno cogliere i riflessi della luce? Sono state quelle le mie prime opere.
Non mi intendevo affatto di tubetti, marche di pennelli, diluenti e preparazioni. Ho fatto a caso seguendo il mio istinto e correggendo via via gli errori.
Dipingevo di notte e alle prime luci dell’alba, come se dovessi rubare quel tempo alle normali faccende quotidiane.
Rosetta? È su a dipingere! Dicevano di me i miei familiari come se avessero a concedermi questa evasione e giustificare quei momenti di libertà. Era piacevolissimo dipingere specialmente I fiori.
La ex camera di mio figlio è divenuta il mio studio, ufficialmente parlando, per me era semplicemente un’oasi di pace, un angolo di mondo assolutamente privato. Mettevo su la musica, audiocassette di Battiato, Antonella Ruggeri, Celentano e di Mina quando dipingevo le Madonne. Alcune anche su commissione, e ora, riguardandole, mi risuonano nelle orecchie le note e le parole che ascoltavo. Una vera commistione di pennellate e suoni come fossero insieme intessute nella tela.
Nel 2010 ho partecipato ad un laboratorio di acquerello steineriano per liberarmi dal vincolo della forma e mi è piaciuto moltissimo, ma soprattutto mi è servito per conoscere meglio me stessa, il mio essere e le mie pulsioni.
Poi, però, sono ritornata alla pittura ad olio e ho scoperto la grande soddisfazione che mi davano i ritratti. Lo sguardo, soprattutto, la luce negli occhi e la meraviglia di quando riuscivo a farli sorridere e parlare. Una vera magia che l’acquerello non mi trasmetteva.
Successivamente, tramite una pittrice della zona ho scoperto Tamara De Lempicka ed è stato subito amore e fascino. Ho cercato per un lungo periodo di riprodurre le sue donne e i suoi chiaro-scuri. È stata la mia maestra con le sue donne sensuali, corpose, materiche che sembrano esplodere dai contorni.
Ribelli come l’autrice. Ho studiato la sua vita, sempre in linea con le sue opere, nella fervida Parigi degli anni trenta. Anche di queste una ricca produzione. Decine e decine di imitazioni che ho regalato in occasione di matrimoni, nascite, cresime, anniversari. Alcune le ho vendute e sono andate ad arredare case coloniche ristrutturate. Quadri grandi, importanti, che ben si adattavano ai saloni.
Mi dà piacere quando penso che un po’ di me vive in altri luoghi. È come dare più respiro alla mia piccola vita.
Con questi quadri ho partecipato a mostre collettive. I primi anni del duemila, infatti, mi hanno visto in giro a conoscere autori, stili diversi, a condividere e fare tesoro delle esperienze. Erano momenti carichi di entusiasmo, di adrenalina e sono riuscita a portare a casa anche qualche riconoscimento.
Alcuni quadri li ho donati in beneficenza. Per il Calcit ad esempio ho donato all’ospedale di Santa Maria alla Gruccia quadri di farfalle. Avevo in mente gli occhi dei bimbi che le avrebbero guardate nelle loro camerette e avrebbero messo le ali volando con la fantasia. Ho dipinto anche su stoffa per un mercatino di Camonti.
È arrivato poi il tempo delle “Figurine”. Modelle molto diverse dalle creature di Tamara. Donne stilizzate, svelte, esili, che mettevano in luce un particolare, un vestito, un accessorio, come un cappello, un guanto, un paio di scarpe. Cercavo una pittura più astratta, più semplice, ma non mi gratificavano
come invece i ritratti.
Sono tornata ai ritratti di donne, questa volta riprese da un calendario famoso.
È arrivata così la mia prima mostra personale. Avevo affittato un bar in una località vicina. Un bar stile novecento, un po’ retrò che ben si addiceva ai miei quadri e mi sono divertita ad allestire la mostra con tanto di rinfresco e musica al pianoforte. Ho osato. Mi sentivo piccola piccola, ma felice. L’ho vissuta come una festa, un regalo che mi sono fatta in occasione del Natale e quando è scesa anche la neve l’atmosfera era perfetta.
Poi ho trovato il modo di fare una seconda mostra tutta mia. Avevo prodotto molti quadri, ma molto eterogenei fra loro seguendo solo il piacere di dipingere. Ho provato allora a collegarli fra loro con un filo conduttore. Sono loro stessi a raccontare una storia. Una storia di donna che parte da scelte di vita che poi si riveleranno obsolete e la costringeranno alla fine a privilegiare l’essenza. Il resto sono solo “Dettagli”. Così l’ho intitolata. E, grazie all’associazione culturale “Montevarchi Arte”, ho potuto farmi conoscere e mi sembra che l’evento sia stato apprezzato.
A questa età non ho in vista una carriera, un’affermazione, sono solo entusiasta di aver dato vita ad un sogno.
Ma non è finita qui.
Come tutte le cose belle c’è sempre un divenire.
Un anno fa ho scoperto, sempre per caso, una tonalità nuova, un grigio meraviglioso che va a compensare perfettamente il bianco assoluto e il nero avorio. Di nuovo ritratti, ma questa volta essenziali. Mi piacciono. Anche perché ognuno di loro ha in più un tocco particolare, un colore che va ad arricchire, non a pesare.
È un tocco in levare, non in battere, come in musica. Sono ritratti presi da foto di persone a me care, oppure da riviste
o anche personaggi che ho trovato su copertine di dischi, di libri, e che comunque volevano che io li dipingessi.
E questa volta mi sono detta… ci siamo.
Forse ora sono una pittrice perché ho alle spalle un percorso, ho ancora voglia di dipingere, non per avere consensi dagli altri, ma per me e per regalare cose gradevoli.
Nel periodo del Covid-19, in questa primavera, ho dipinto per bisogno. Un grande bisogno di evadere con lo spirito, di alleggerire l’animo, di isolarmi in modo piacevole, non dettato da imposizioni esterne. È stato un ritorno ai fiori, meno impegnativo dei ritratti. Fiori grandi che implodono e ti fanno liberare la mano e la mente, fiori vistosi, importanti sulla tela come quelli di Georgia ‘O Keeffe, oppure, semplicemente, i fiori del mio giardino che sono ancora una volta rinati dai semi che avevo interrato.
Ancora una volta.
Ho deciso di riunire in questo libro quasi tutta la mia produzione, o meglio, i quadri più significativi. So per certo che mi sono regalata ed ho regalato emozioni, ma ora desidero solo che i miei figli ed i miei nipoti sappiano quanto ho ADORATO dipingere.
Rosetta Trefoloni
Agosto 2020